FARCI LA BOCCA
BISOGNA FARCI LA BOCCA
Una volta si beveva il vino del contadino, comprato in damigiane,
o quello che faceva lo zio per divertimento, andando a comprare
le uve in Toscana. Le damigiane poi si infiascavano in cantina,
con un preciso rituale a base di bottiglie, canna, imbuto, stoppa,
olio e tappi di sughero.
Erano per lo più pessimi vinacci, forti ed asprigni, e la prima volta
che si assaggiavano alla classica domanda "Com'i é?" si rispondeva:
"A s'dev far la boca", "Bisogna farci la bocca".
Farci la bocca, quel misterioso fenomeno di adattamento papillare
per cui dopo una settimana di pasti annaffiati da quelle bottiglie, il
pessimo vinaccio miracolosamente ci appariva buono, fresco,
saporoso ed invitante.
Altri tempi.
Oggi il vino si compra in bottiglie: si va al supermercato e si sceglie
tra mille etichette di tutte le provenienze. Ci piace cambiare: oggi
un Morellino di Scansano e domani un Rosso dell'Oltrepo' Pavese.
I nostri palati sono allenati, capiamo subito se un vino è buono
oppure no. Ed i vini che buoni non sono si bevono malvolentieri,
perché non c'é il tempo per farci la bocca.
Lo stesso fenomeno, in fondo, ci capita negli affetti. Si trova una
persona che ha dei difetti e pian piano, col passare degli anni, quei
difetti non si vedono più o addirittura si iniziano ad apprezzare. E
così il partner diventa prodigiosamente ideale, perfetto, ineguagliabile.
Oppure si può cambiare spesso, provare ogni volta qualcosa di
diverso, alla ricerca del meglio.
Cosa sia preferibile non lo so: imparare ad apprezzare l'imperfezione
o cercare costantemente la perfezione?
Sono scelte personali, filosofie di vita.
Ma la legge del fars la boca è la sola teoria che possa spiegare
come mai, dopo tanti anni, mia moglie continui ancora a volermi bene.
Una volta si beveva il vino del contadino, comprato in damigiane,
o quello che faceva lo zio per divertimento, andando a comprare
le uve in Toscana. Le damigiane poi si infiascavano in cantina,
con un preciso rituale a base di bottiglie, canna, imbuto, stoppa,
olio e tappi di sughero.
Erano per lo più pessimi vinacci, forti ed asprigni, e la prima volta
che si assaggiavano alla classica domanda "Com'i é?" si rispondeva:
"A s'dev far la boca", "Bisogna farci la bocca".
Farci la bocca, quel misterioso fenomeno di adattamento papillare
per cui dopo una settimana di pasti annaffiati da quelle bottiglie, il
pessimo vinaccio miracolosamente ci appariva buono, fresco,
saporoso ed invitante.
Altri tempi.
Oggi il vino si compra in bottiglie: si va al supermercato e si sceglie
tra mille etichette di tutte le provenienze. Ci piace cambiare: oggi
un Morellino di Scansano e domani un Rosso dell'Oltrepo' Pavese.
I nostri palati sono allenati, capiamo subito se un vino è buono
oppure no. Ed i vini che buoni non sono si bevono malvolentieri,
perché non c'é il tempo per farci la bocca.
Lo stesso fenomeno, in fondo, ci capita negli affetti. Si trova una
persona che ha dei difetti e pian piano, col passare degli anni, quei
difetti non si vedono più o addirittura si iniziano ad apprezzare. E
così il partner diventa prodigiosamente ideale, perfetto, ineguagliabile.
Oppure si può cambiare spesso, provare ogni volta qualcosa di
diverso, alla ricerca del meglio.
Cosa sia preferibile non lo so: imparare ad apprezzare l'imperfezione
o cercare costantemente la perfezione?
Sono scelte personali, filosofie di vita.
Ma la legge del fars la boca è la sola teoria che possa spiegare
come mai, dopo tanti anni, mia moglie continui ancora a volermi bene.